Apr 2020

C’era una volta… La fiaba, emozioni e legami
“ …e voglio che tu scelga un momento nel passato in cui eri una bambina piccola piccola. E la mia voce ti accompagnerà…”
(M. Erickson)
Le storie e la narrazione sono certamente un patrimonio di una cultura che ha radici nei tempi. Tutti noi abbiamo ricordi indelebili di un’infanzia dove nonni e genitori, con voce pacata e serena, catturavano la nostra attenzione e curiosità. Attraverso le parole, che trasformavamo in immagini, suoni, odori abbiamo costruito quell’ immaginario che ci ha accompagnato nel processo di sviluppo.
Quel mondo con la crescita si è modificato. Alla magia di quei luoghi fantastici, abbiamo sostituito parole e immagini adulte. Però, non vi è occasione in cui i frammenti dei racconti, anche in età adulta, ogni tanto irrompano nel vivere quotidiano, rimandandoci ai giorni dell’incanto, dove tutto è colore, e dove il bene e l’amore si affermano su ogni cosa.
Ci capita spesso in terapia con adulti, con coppie, di viaggiare a ritroso nel tempo ed è proprio in questo percorso che i pazienti si lasciano andare ai vissuti profondi. Le parti nascoste, forse mai affiorate alla coscienza, emergono nella stanza della terapia, creando una sintonia ed un movimento empatico con il terapeuta che diventerà premessa per un futuro dialogo con se stessi e con le proprie relazioni.
È la straordinaria forza dell’inconscio un fattore che orienta e spesso guida il comportamento: campo dove le qualità personali crescono e vengono nutrite.
La pratica clinica ci ha insegnato il valore senza fine delle storie, dei racconti e delle fiabe che a qualsiasi età alimentano la nostra immaginazione. Permettono di avviare un dialogo interiore; in questo modo trovano espressione ansie e paure ma in una dimensione protetta dalla coscienza. Proprio per questo le stesse risulteranno ridimensionate.
Bruno Bettelheim pensava che la fiaba fosse terapeutica perchè il bambino può trovare autonomamente le proprie soluzioni, riflettendo su ciò che il racconto sembra maggiormente coinvolgerlo: spesso sui conflitti interiori di quel preciso momento della sua vita.
L’inconscio, sollecitato dalla parola, consente di “entrare” nella propria realtà interiore; è un’esperienza quasi virtuale che va creandosi con la dinamica fantastica ed intrigante del racconto, producendo una modifica dello stato di coscienza e del sistema delle emozioni.
Le favole aprono ai sentieri dell’ immaginazione e stimolano le emozioni più profonde; alcuni significati spaventosi, angosciosi, contenuti nella parte più remota della nostra mente, possono essere rielaborati e trasformati in energia positiva da poter utilizzare nel percorso di crescita.
Il tono della voce di chi racconta, il ritmo e la capacità di adeguarsi al linguaggio di chi ascolta, trasformano il racconto in strumento di cura. Paul Watzlawick, lo ha definito il “linguaggio del cambiamento”.
Cambiamento che cammina sul filo di un paradosso. Il bambino si trova a vivere una doppia appartenenza, quella immaginifica che costruisce con gli strumenti cognitivi ed emozionali della propria età e la presenza dell’adulto narrante.
I due mondi si intrecciano, realtà e fantasia vengono, ora a percorrere strade proprie, ora a sovrapporsi.
Solo in apparenza può sembrare che si generi confusione, che i due piani seguano logiche diverse. La mente del bambino è differente da quella adulta, diversamente dal pregiudizio di una similitudine che spesso emerge in genitori o insegnati frettolosi.
Il mito dell’adultizzazione è sempre dietro l’angolo: pensare ai bambini a piccoli adulti in miniatura è ormai pedagogia ottocentesca. Il bambino costruisce il proprio mondo, è protagonista della conoscenza. Sovente attraverso le storie si vuole inculcare orientamenti etici o morali, legittimo, seda solo l’ansia da prestazione dell’adulto.
Il bambino mescola le informazioni, le conoscenze, ascolta, osserva, annusa odori, legge espressioni, e poi via in un frullatore per generare nuove idee. La fiaba ha il merito di stimolare quel pensiero divergente, dove la creatività cavalca spazi inusuali, dove la logica spesso viene scardinata, smontata, per essere assemblata secondo traiettorie che lasciano gli adulti sorpresi e meravigliati.
La fiaba nel raccontarla insegna agli adulti il fascino dei tempi lenti, delle parole sussurrate, della calma e della pazienza: spesso i bambini vogliono che si narri la stessa storia per più volte, non perché non abbiano capito, ma per il piacere dell’ascolto, per rinnovare una sicurezza, che il papà o la mamma sono sempre li, ad esaudire la loro richiesta.
Anche gli adulti, quindi, che ascoltano una fiaba, possono sperimentare una intensa regressione; se lo permettono, possono vivere un coinvolgimento profondo ed emotivamente intenso, lasciandosi trasportare in una sorta di “trance”.
Il risveglio è sempre piacevole, sentono di aver toccato delle corde celate, di aver sollecitato ricordi ed emozioni, pronte per essere giocate nella quotidianità.
Le fiabe e i sogni sono fatti della stessa stoffa.
I bambini fantasticano, gli adulti sognano. Tralasciamo questioni di tecnica interpretativa di cui Freud è stato maestro, quello che conta è che bambini e adulti, genitori, nonni, persone di cura, parlino la stessa lingua, quelle delle emozioni, elementi fondanti per costruire buoni legami e relazioni.
Quindi nonni, mamme, papà, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria, cogliamo ogni occasione con i bambini e con i ragazzi di proporre racconti, storie e tante fiabe che rassicurano ed aiutino a crescere.
La fiaba presentata vuole essere uno stimolo, uno strumento di dialogo, di ascolto e di tenerezza. I bambini con il tempo forse ricorderanno solo questo: la pandemia scomparirà, come i tanti mostri e le arcigne streghe, per lasciare solo un’emozione e un sorriso.
Il c’era una volta un mostro cattivo… troverà nel finale una fata turchina, un principe, un cavaliere sul bianco destriero, pronto a scacciarlo nelle tenebre, per non tornare mai più.
Una favola per guarire
Ecco una piccola favola terapeutica, per bambini e non solo, curata da Marie Cray, fotografa.
« C’era una volta una foresta bellissima dove una famiglia di conigli viveva in armonia con tanti altri amici animali. Però il coniglietto più piccolo della famiglia aveva spesso paura nonostante le rassicurazioni dei suoi genitori e amici.
La loro vita era tranquilla e felice, scandita dal dolce passare delle stagioni ognuna delle quali regalava alla foresta e ai suoi abitanti una quantità infinita di doni preziosi. Un giorno, quando erano fuori a giocare sul prato, il cielo divenne nerissimo improvvisamente e scoppiò un temporale violentissimo. Tutti i conigli corsero dentro la foresta mentre il temporale infuriava intorno a loro.
Quando arrivarono alla loro tana il coniglietto corse velocemente nell’angolo più profondo della casa sotterranea tremando di paura. Presto fu così esausto che cadde in un sonno profondo anche se il temporale imperversava ancora nella foresta.
Mentre dormiva iniziò a sognare. Nel sogno correva lungo un fiume impetuoso. Il fiume era pieno di mostri terrificanti. Continuava a correre ma i mostri erano talmente tanti che si vedeva a malapena l’acqua del fiume. Alla fine, anche se tremava di paura dalla testa alla coda, decise di fermarsi e affrontare gli spettri del fiume.
Con voce tremolante chiese “Chi siete?”. Si levò un boato enorme dal fiume e i mostri risposero tutti in coro “SIAMO LE TUE PEGGIORI PAURE! Puoi farci tre domande” dissero insieme.
Tremando il coniglietto si rivolse al mostro che trovava meno minaccioso perché era verde come l’erba nel prato che gli piaceva tanto mangiare. “Chi sei?” chiese. “Io sono la paura di non essere mai all’altezza.” rispose il mostro. “Puoi fare di tutto e sentire tutte le rassicurazioni del mondo dagli altri, ma se sei nelle mie grinfie non troverai mai la felicità.”
Il coniglietto prese a tremare ancora più forte ma in qualche modo riuscì a trovare un fil di voce. “E tu chi sei invece?” chiese all’enorme mostro color sangue che incombeva su di lui. “IO SONO LA PAURA DELLA MORTE!” urlò. “Se ti prendo sarai paralizzato e incapace di vivere la tua vita a causa delle preoccupazioni per la tua morte e quella dei tuoi cari.”
Il coniglietto non tremava più. Ormai aveva così tanta paura che non riusciva a muoversi. Sentiva un ghiaccio gelido nelle vene ma si fece coraggio e chiese al mostro nero davanti a lui “Chi sei tu invece?” “Ah!” disse il mostro con voce tuonante “Io sono la paura peggiore di tutte. Sono la paura della paura. Quando ti prendo non potrai mai liberarti perché fino a quando non rompi il circolo vizioso io continuerò ad alimentare le tue ansie.”
“Che cosa posso fare per liberarmi?”
sussurrò il coniglietto guardando le paure che lo circondavano da tutte le parti. “Devi smettere di avere paura della paura” rispose il mostro nero “e credere in te stesso. Se fai questo noi spariremo perché non abbiamo sostanza, siamo solo fumo evocato dalla tua mente. Lasciaci andare e svaniremo.”
In quell’istante il coniglietto si svegliò. Si stiracchiò nella tana e ascoltava aspettandosi di sentire i tuoni ma il temporale era passato. Si sentiva strano. Diverso. Leggero. Inizialmente non capì cosa fosse successo. Che cos’era questa sensazione nuova?
Poi si rese conto… “NON HO PIU’ PAURA!” gridò e corse fuori dalla tana. Venne accolto dal sole e un arcobaleno stupendo. Saltellò di gioia perché era quasi arrivata l’ora delle fiabe nella radura.
Tutte le sere gli animali si riunivano davanti a un falò e raccontavano storie. Quella sera per la prima volta nella sua vita avrebbe avuto una storia tutta sua da condividere con i suoi amici.
Fine. »