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Mag 2020
psichiatria post emergenza cura sostegno mani

Possibili scenari per la psichiatria post-emergenza

 

Noi operatori della salute mentale ci ritroviamo ad affrontare uno scenario nuovo ed imprevisto/imprevedibile. Di fatto ci chiediamo cosa stia succedendo in questo periodo e la risposta è: di tutto!

La nostra mente decide, in modo anche del tutto arbitrario, da che parte andare. A volte arriva l’ansia totalizzante e paralizzante, altre volte la depressione o addirittura una ventata di energia (fin troppa).

C’è chi sente il bisogno di controllare una situazione che sembra esser fuori controllo e chi si carica di ruoli “salvifichi”. Inoltre l’esigenza di adottare misure di contenimento del virus può colludere con istanze di tipo ossessivo e quindi il lavarsi le mani per 20 secondi, come ci viene di continuo ricordato, diviene un problema.

 

Mancano ancora all’appello i disturbi legati alla mancanza dell’elaborazione del lutto e alle pesanti ripercussioni di chi, a causa della malattia, ha temuto di morire.

 

Tutto ciò sembra essere legato in parte ai vari fattori esterni (isolamento a casa, notizie spaventose, lutti e malattie) che hanno toccato tutti in vario modo, ma in particolare a pregresse dinamiche e fatiche che si sono accentuate in questo nuovo contesto.

Nella mia esperienza quel che pesa maggiormente è, da una parte, l’imprevedibilità del momento a più livelli: lavoro, relazioni, stile di vita. Dall’altra la sensazione di non potersi “riparare” da quel che succede sia in termini di contagio del virus che di coinvolgimento emotivo per quel che ci succede intorno. A ciò va aggiunto che la convivenza stretta e forzata può accentuare dinamiche già da prima disfunzionali.

Ho incontrato persone che, obbligate a stare ferme, hanno trovato il tempo per riflettere e toccare con mano la precarietà emotiva della loro situazione, con conseguente comparsa di malessere. Vite vissute di fretta, povere dal punto di vita relazionale (se non in modo molto superficiale) con la quarantena si sono scontrate con il loro deserto dei sentimenti e delle relazioni. Oppure dinamiche familiari disfunzionali che, trovatisi “attive” h 24, sono esplose e venute a galla.

 

Mi hanno colpito però i pochi e rari casi di pazienti già in cura che, meno sollecitati dalla frenesia di tutti i giorni, hanno ritrovato un equilibrio e sono tornati a stare meglio.

 

La sensazione è che da una parte ci sia un malessere diffuso e generale che potrà sfociare sotto varie forme, dall’altra che si sia creato come un argine che sta contenendo e trattenendo le persone in difficoltà. In realtà questa sorta di blocco è contenuto dal timore di uscire e contagiarsi, ma allo stesso tempo comincia a creparsi.

Quando esploderà? Difficile saperlo. Quel che sembra plausibile è che all’interno di questo gruppo dobbiamo metterci diverse figure: dalle persone anziane sole a casa, isolate e con difficoltà nel quotidiano, alle mamme che devono rientrare al lavoro e non sanno da che parte girarsi per i figli, a chi non sa se avrà ancora un lavoro e deve mantenersi, a chi non ha più salutato per l’ultima volta quel familiare ed ora attende una scatola con le ceneri, a chi ha visto morire il compagno di letto e ha temuto d’essere il prossimo, a chi si è scontrato con la sua impotenza e non è riuscito a salvare vite come faceva un tempo, a chi ha dovuto fare scelte importanti che si ripercuotono sulla comunità.

 

Il timore è che quando queste persone chiederanno aiuto il disagio sarà già importante, un po’ come è successo con la diffusione del virus.

 

Tuttavia quel che abbiamo capito è l’importanza di cominciare a tessere collegamenti che possano esserci d’ aiuto quali: coltivare anche a distanza le relazioni, rivolgersi ai servizi di sostegno, mantenere una quotidianità, evitare il continuo confronto con la vita di prima.

 

Anna Rocca, Psichiatra

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