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Dic 2020
don costante scarpellini conventino bergamo
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Scarpellini e lo studio della psicologia

 

Giuseppe Belotti, psicologo e psicoterapeuta, direttore dell’Associazione Psicologia Psicoterapia Il Conventino,  per commemorare Costante Scarpellini sia subito dopo la morte (2003), sia nel decimo anniversario della medesima, ha scritto due lunghi e interessanti articoli. Di essi vale la pena  presentare una breve sintesi. La suddivisione dei paragrafi e i sottotitoli sono del redattore.

 

Le radici culturali e religiose

Il prof. Costante Scarpellini è stato un raffinato pensatore, nato e cresciuto nella terra bergamasca, dove ha vissuto e insegnato fino all’ultimo: le sue radici affondano in questa nostra terra impregnata da secoli di sapienza contadina. E dell’agricoltore, lo psicologo e docente di psicologia aveva la discrezione e la pazienza, la resistenza alle intemperie e la capacità di attendere e insieme anticipare le stagioni, la custodia del patrimonio del passato e la speranza in un futuro migliore.

Pioniere della psicologia nel nostro ambiente e in Italia, è stato uno dei più lucidi esponenti di quella passione per l’uomo e il suo divenire che tanto ha dato a una schiera di studenti e di studiosi, creando una coscienza attenta alla migliore riuscita dell’uomo, ma anche all’etica della comprensione di ogni originale individualità, in un dialogo aperto alle diverse correnti di pensiero presenti nella nostra società. Del resto, come lui stesso amava ripetere, la vera discriminante tra gli uomini non è tra fede e non fede, bensì “tra coloro che pensano e coloro che non pensano”.

Dotato di rara intelligenza, eccezionale capacità di sintesi, grande intuito diagnostico e creatività, aveva una grande capacità di valutazione del presente e di profezia del futuro, libero da pregiudizi o timori personali, spesso precorrendo i tempi. Ciò gli ha creato, a volte, l’incomprensione degli altri. Era uomo di grandissima cultura, che spaziava dalla filosofia alla biologia, alla genetica e alla fisica, dalla teologia all’arte, ma senza dispersione: nessun sapere gli era estraneo. Questo ampio sistema di riferimento gli permetteva di centrare il cuore dei problemi. Era sempre disponibile al confronto e al dialogo, pronto a porre domande, a sostenere un cammino che non si fermasse mai in superficie.

Soprattutto la sua forma di pensiero non era mai disgiunta da un ricco investimento emotivo, che lo portava ad accettare e rispettare ogni persona, non in maniera formale né convenzionale, nel tentativo di scoprire e comprendere la profondità dell’uomo. Il sapere non era occasione di esibizione di sé, ma vero apprezzamento dei doni di Dio. Potremmo dire “un ricercatore della Verità”, mai sazio delle conquiste fatte, sempre attento al nuovo che affiora dall’esperienza e dagli incontri con le persone che interpellano la nostra vita. Il suo equilibrio, non privo di oscillazioni verso gli estremi, lo rendeva capace di conciliare gli opposti e di rompere gli schemi, rimanendo fedele alle scelte di fondo e alla propria autenticità e libertà. Non era uomo dalle “mezze verità”: piuttosto stava in silenzio. La sua filosofia di vita era saldamente basata su valori non legati alla fruizione immediata, ma trascendenti. Parlava poco di Dio in modo esplicito, benché fosse un prete, ma ne parlava implicitamente sempre, con grande serenità interiore, libero dalle valutazioni degli altri. Dio era la “sintesi ultima di tutte le dimensioni”, senso dell’Essere e della vita: evitava di nominarlo invano. Si percepiva che solo in Dio c’era l’aderenza piena alla Realtà, solo in Lui l’intelligenza piena delle cose.

 

Rispetto per l’inesauribile mistero dell’essere umano

Scarpellini fu scrittore versatile con opere di pregio e collaboratore a diverse riviste. Era preoccupato che una lettura superficiale dei vissuti umani trascurasse la ricchezza del mistero che ogni uomo racchiude e che nessuno mai riesce a esaurire.

Amante del dubbio e degli interrogativi, sempre in ricerca, è riuscito a coniugare fede e scienza, senza mai rinunciare a lasciarsi affascinare da quanto c’è nel profondo dell’uomo. Amante dell’arte e dalla poesia, pittore di buon livello, nelle sue opere riusciva a esprimere quel profondo desiderio di trasfigurazione che sognava per sé e per ogni uomo che lo incontrava. Nessuno usciva dall’incontro con lui a mani vuote o senza qualcosa che “lasciasse il segno”. Non fu mai banale. La sua capacità di amicizia individuale era estesa a molte persone, anche se “nascoste”, mai esibite, per salvaguardarne l’unicità.

In questo senso ci si potrebbe rammaricare che il dialogo tra il prof. Scarpellini e la sua presenza nella nostra città – con particolare riferimento alla realtà ecclesiale, essendo prete e per anni professore in seminario di filosofia – non si sia approfondito quanto avrebbe meritato: la psicologia, ai suoi inizi, ha suscitato spesso una certa presa di distanza, se non sospetto, in alcuni ambienti ecclesiali che non hanno saputo liberarsi da una facile assimilazione tra ricerca psicologica e paura di un impoverimento della fede. Ciò ha reso difficile cogliere i fermenti e le istanze antropologiche presenti e attive nelle scienze umane. Ciononostante, il prof. Scarpellini non è venuto meno alla ricerca psicologica e allo studio approfondito sull’uomo, all’elaborazione coraggiosa del suo pensiero. È sempre stato comunque rispettato e riconosciuto come grande studioso ed “esperto di umanità”. Sta di fatto che solo nel suo ultimo decennio di vita, la sua presenza ha avuto uno spazio di riconoscimento forte anche sul piano ecclesiale, “oltre” il suo campo d’impegno universitario. In tale decennio, chiusa l’esperienza universitaria, ci si è ritrovati a percorrere cammini comuni, a cercare soluzioni convergenti, a capirsi di più in ciò che davvero stava a cuore a ciascuno. Questo non ha intralciato la sua costante consulenza psicodiagnostica e la presenza psicoterapeutica per chi era nel bisogno.

 

Supplementi d’umanità, anticipi di fiducia e creatività

Una folla di persone deve al prof. Scarpellini un “di più” di umanità, di gioia e di coraggio di vivere. Si è come riscoperta, in quest’uomo così lucido sulla dinamica dei processi formativi, “creativo” nel suo lavoro – non si intitola forse La famiglia dalla sopravvivenza alla creatività  uno dei suoi saggi più preziosi? – quella passione per “intelligere” (intus-legere) persone e cose, che lo faceva forse temere a chi lo incontrava dall’esterno, ma che tanto lo avvicinava a chi lo incontrava nel profondo e gli riconosceva la veemenza del “profeta” che non tollera disumanizzazione, che non esita a schierarsi dalla

parte di chi è fragile, di chi resta “manipolato” da una cultura afrodisiaca che impoverisce il divenire dell’uomo. Era sempre pronto a meravigliarsi di ogni nuova conquista culturale, di ogni passo fatto verso la dignità di essere “uomo intero”.  Il tema del “valori” gli era particolarmente caro in un mondo che ci ha fatto “diventare gregge verso la greppia di un po’ di fieno che luccica” osava dire: “Senza la socialità e il rapporto con il Tutto, gli altri valori sono destinati alla competizione distruttiva e farsi poli di attrazione disordinata: così l’economia senza socialità sacrificherà il valore biologico, il potere scientifico dissacrerà il sociale… I valori più profondi quali la socialità e la religione hanno bisogno di serenità, di disponibilità e di sanità mentale per essere percepiti e sviluppati nella loro autenticità” (C. Scarpellini, La famiglia dalla sopravvivenza alla creatività p. 267). Quanta verità in queste frasi scritte nel lontano 1983!

Ricordava spesso come la violenza sia basata sull’“aut- aut”, sul testa a testa, mentre la creatività è la “ricerca” mai conclusa di vie alternative. La creatività era un tema a lui particolarmente caro, ripreso a ogni piè sospinto. Era convinto ogni giorno di più che il nostro mondo avesse bisogno di un’overdose di creatività e di spiritualità! La malattia gli faceva paura: ma affrontò con serenità e grande fede l’avvicinarsi della morte.

 

I limiti della psicologia

Scarpellini affermava che per affrontare il disagio psichico, le malattie dell’animo, si ricorre alla psicologia del profondo, alla psicoanalisi che sonda le profondità della mente e del cuore, ma spesso lamentava che tante persone si fermano a un livello immediato, condannandosi alla sterilità. La psicologia, è risaputo, sonda i problemi della mente umana. Non c’è stata epoca con maggior malessere dell’attuale e non ci sono stati tanti psicologi e psicoterapeuti come oggi per soddisfare le aspettative di guarigione e la ricerca del benessere psicofisico. Ma la psicologia non può fare tutto: molto dipende dai problemi esistenziali, dal vuoto spirituale, dalla fatica a dare “senso” alla vita e alla “storia” che viviamo. Se la sonda non accede al luogo del conflitto, ma si ferma a riflessioni più o  meno superficiali, non c’è soluzione né guarigione. Ci sarebbe un termometro appropriato, ma non viene riconosciuto per troppi pregiudizi. Sappiamo che l’aspetto religioso è la dimensione più profonda di ogni cosa. Siccome pochi vivono gli aspetti profondi della religiosità, ciò che è religioso è spesso scartato… Pochi psicologi, giudici, intellettuali capiscono la dimensione religiosa della vita, molti la confondono con i riti e le superstizioni. “Diversi studi sperimentali dimostrano che la preghiera è fonte di salute, psichica e fisica. Colui che prega si mette nelle condizioni personali per una auto-guarigione: chi scarta questa strada ricorre allo psicoanalista che cura spesso in modo non sufficiente” (ibidem p. 18).

Dai tanti suoi scritti emerge la ricca persona­lità del prof. Scarpellini. Egli ci appare come l’appassionato ironico che non si confonde mai con ciò che lo circonda, ma sa distinguere ciò che in noi è oggettivamente valido da ciò che  è presente in noi per debolezza personale, senza mai cessare di amare ciò che è sottoposto a critica. Si rivela anche artista, pittore, poeta dell’autotrascendenza e della trascendenza, quasi a sottolineare gli aspetti “indicibili” di ogni sguardo su una realtà che non si riduce agli aspetti di analisi e di sintesi scientifica, quasi a esaltare gli aspetti “trasgressivi” rispetto all’ordine stabilito. Amante dell’oggettività e della verifica scientifica, della libertà e della creatività, era consapevole che per cambiare le cose non è necessario il sovvertimento violento, la “rivoluzione” armata, con tutta la faziosità e la sicumera di chi vuol “cambiare gli altri”; sono piuttosto preziose la pazienza, la tenacia, l’ironia di credere nella libertà, nella creatività di chi è disposto a cambiare se stesso.

Egli era un grande realista perché sapeva cogliere i meccanismi oggettivi che regolano la società; li faceva risaltare nei fatti, nella relazione fra le persone, in quelli che si chiamano “i casi della vita”, dove le varie tessere dei rapporti diventano spesso le maglie del destino personale, frutto delle condizioni di vita, dei rapporti sperimentati e della responsabilità delle effettive scelte di ogni individuo.

 

Fiducia nella fedeltà della vita

Negli scritti del prof. Scarpellini s’intuisce tra le righe, sotto la coltre delle parole, la sua fidu­cia incrollabile nella fedeltà della vita: “Non sarà mai il caos ad avere l’ultima parola, anche se apparentemente sem­bra dominare la scena della storia e del cuore”. Si coglie con forza la sua fede nella fedeltà di Dio: “Non sarà mai il male ad avere il soprav­vento anche se ingenuamente sembra che la delusione, la sconfitta, la paura, si aggirino fra le strade degli uomini”. Ritorna il tema caro dell’essenzialità, della trascendenza. Un sapere “mai sazio” il suo, sempre in ricerca e in divenire verso una sintesi sapienziale mai compiuta: l’uomo cerca la trascendenza; l’arte è intuizione del trascendente e avvicinamento alla Realtà!

La pudica fede, difficilmente espressa in parole, è disseminata dovun­que con la gioia di vivere. La clinica non basta; la psicologia, l’uomo di scienza lasciano il posto all’uomo di fede: “La fede per Scarpellini – scrive Valentino Salvoldi – è uno sfiorare l’ignoto con il sentire profondo che ci deve essere un Dio che dà ar­monia al tutto, invera la vita e dà un senso all’eternità. È un modo di vivere, basato su una scommessa che permetterà pure di sbaglia­re su alcuni punti, ma non su tutti”.

 

L’insufficienza dell’approccio clinico

Con la sua vita il prof. Scarpellini ci ha insegnato che l’approccio clinico è utile, ma non basta! L’iperspecializzazione coglie le “tessere” ma spesso non vede il “mosaico”,  focalizza le parti, ma rischia di perdere di vista l’essenziale.  È faticoso cogliere “ciò che è tessuto insieme”, il “complesso” appunto. Dobbiamo ringraziare il professore che, con la sua testimonianza, ci ha aiutato a pensare la multidimensionalità dei problemi, ha stimolato l’intelligenza a essere meno cieca e inconsistente. Il sapere psicologico non basta da solo a “leggere”, a interpretare la vita: deve aprirsi sempre più agli aspetti sapienziali. Una lettura “riduzionista” non rende ragione dei grandi interrogativi in gioco, della complessità antropologica, culturale, sociale. Ogni persona, anche la più superficiale – ci ha insegnato Scarpellini – porta in sé una molteplicità interiore, le sue personalità virtuali, un’infinità di personaggi di riferimento e d’identificazione, una ricchezza di vita nel reale e nell’immaginario, nel sonno e nella veglia, nell’adeguamento al “già visto” e nella creatività, nel celebrato sulla scena del mondo e nell’intimo più segreto dei vissuti profondi, nei suoi abissi insondabili. Ognuno conserva in sé sogni e fantasmi, slanci inappagati di desideri e di amori, astri in fiamme e abissi di glaciale indifferenza, momenti d’odio e lampi di generosità, smarrimenti stupidi e dedizione sconfinata, dementi burrasche e arcobaleni di infinita bellezza. Ogni persona costituisce un cosmo, un mondo a più dimensioni, tutto da scoprire. Ogni spiegazione è sempre riduttiva, non basta a definire la storia di ognuno che è, comunque, “sacra” e inviolabile. Affrontare l’incertezza, il dubbio, avere il sentore di poter sbagliare diagnosi e terapia, ci mette con più responsabilità di fronte alla vita, soprattutto a quella sofferente.

Uno psicologo non può essere solo uno psicologo, non può fermarsi solo agli aspetti clinici, altrimenti può diventare nocivo e può costituire un vero pericolo. Scarpellini ci ha insegnato che ciò che è statisticamente “normale”, moda dominante, non può essere “normativo”, regola di vita; che ciò che vale, non dipende dal consenso, dall’audience, dal copione e dalla fiction di turno! Non bisogna sottomettersi ai luoghi comuni!  Sottolineava spesso i rischi di una cultura del “bisogno-piacere” e di una psicologia “debole” che crea soggetti fragili e insaziabili.

Ha sempre sostenuto la necessità di una vita culturale profonda, di tempi da dedicare allo spirito e allo studio, l’apertura all’arte, alla poesia, alla grande musica, alla riflessione e al silenzio: elementi che hanno il potere di dare “qualità poetica” e arricchire il nostro approccio alle persone.

Ci mancherà il suo aiuto nel continuare a dissodare il terreno umano della diagnosi e della cura, ma soprattutto del saper camminare a fianco di ogni uomo per poter scoprire che il “tesoro” non è uno scrigno nascosto in qualche anfratto, ma la semplice, quotidiana fatica di chi ascolta e scruta con costanza e amore il cuore dell’uomo e la natura, fino a scoprire la scintilla divina che abita la nostra terra e la nostra vita. Solo così ci saranno frutti abbondanti per tutti.

 

Quella memoria  che prepara il futuro

N.d.R. Scarpellini  era convinto che senza radici e senza “memoria” non si va in alto, non c’è futuro. Con questa intuizione abbozzo alcune note conclusive desunte dallo scritto di Giuseppe Belotti, come patrimonio spirituale da tramandare ai posteri. Come testamento spirituale.

  • Dal 1996 ha ricoperto il ruolo di Direttore del Centro Servizi Psicosociali “Il Conventino” (oggi Associazione Psicologia Psicoterapia “Il Conventino”), dove ha lasciato tracce profonde, mettendo a disposizione la sua ricchezza di sapienza e di esperienza con grande dedizione fino a malattia avanzata. Qui ha profuso le sue ultime energie, la sua umanità, la ricchezza della sua “storia”, della sua sapienza frutto di tanti studi, di anni di ricerca e d’insegnamento.
  • Aderendo alla psicologia umanistica, si è sempre tenuto lontano da ogni “determinismo”. Era solito affermare che ognuno, comunque, doveva giocare – chi più e chi meno – la propria parte di libertà e di responsabilità. In questo senso era critico verso ogni forma d’ideologia da lui definita come “la tendenza a generalizzare il particolare”.
  • La passione per la psicodiagnostica lo vedeva sempre molto critico: “I test sono come il termometro: se dai in mano un termometro a un selvaggio, se lo mette in bocca per mangiarlo” soleva dire, per indicare i rischi di un cattivo uso degli strumenti diagnostici, ma anche per essere “documentato” sulle diagnosi per una cura adeguata e non “facilona”.
  • Era capace di sintesi personali originali e sagge, risultanti dalla cultura appresa, dall’esperienza, dal suo approccio sempre vitale e vitalizzante, ma soprattutto libero. Libertà che era il suo orientamento di fondo, sia nel pensare, sia nell’agire. Il suo ideale era l’aderire alla realtà, all’Infinita Realtà, nel riconoscimento della meraviglia e del mistero dell’Uomo.
  • Gli operatori del nostro Centro, psicologi e psicoterapeuti che l’hanno conosciuto e avuto come direttore, lo ricordano con gratitudine per le tracce profonde che ha lasciato nella loro mente e nel loro cuore. Ricordano i suoi incoraggiamenti ad avere sempre uno sguardo alla totalità dell’uomo, a non essere semplici “chirurghi” dell’anima, ad accostarsi con profondo rispetto e delicatezza alle sofferenze, rispettando il mistero racchiuso in ogni uomo.

 

Ho pensato spesso, in questi anni, a come avremmo potuto trarre ancora maggior profitto dalla sua sapienza scientifica e dalla sua strepitosa esperienza umana.

Com’è facile “buttarsi nella mischia”  – mentre camminiamo insieme con il maestro, poi con il collega; quando condividiamo fatiche e responsabilità, presi da mille incombenze – e non avere il tempo di guardare più in profondità, cogliere la voce che viene dal cuore, ascoltarla in silenzio! È così anche con un quadro, un’opera d’arte: la vedi meglio se prendi una certa distanza. È quello che succede pensando al prof. Scarpellini, facendone memoria, a distanza di anni. Per chi l’ha conosciuto, gli ha vissuto accanto, per chi gli è stato amico, è forse più facile oggi capire tutta la sua grandezza, la sua passione! Forse questo è anche uno sfogo intimo… ma fa parte del “fare memoria”, lasciar parlare anche il cuore. Lui sapeva di tutta la mia stima e ammirazione: era come un padre per me oltre che un potente maestro. A lui devo molto del mio percorso come psicologo e psicoterapeuta, gli sono immensamente grato. La sua presenza ci dava una totale tranquillità, proprio come un padre: non gli dici tutto, sempre, non lo stressi, ma sai che c’è e questo ti basta. Tante volte mi rammarico di non aver “approfittato” un po’ di più di lui. Ritengo una “grazia” averlo incontrato, averlo frequentato per tanti anni e aver camminato al suo fianco, rispettoso anche del suo pensare “solitario”, del suo contemplare il mistero.

Raccogliamo una ricca eredità. Ci pare di sentire la sua voce: “Coraggio! Tanto è stato fatto, tanto resta da fare”:  è il grido del pioniere, di un maestro che ci ha sempre spronati a crescere in umanità e competenza, in scienze e tecniche ma soprattutto in sapienza. Egli ci ha sempre incoraggiati e spinti a formarci sempre di più: mai come oggi, infatti, abbiamo bisogno di uomini e donne che sappiano leggere i tempi e capaci di farsi compagni di viaggio a chi cerca un po’ di luce, a chi è in mezzo al guado, in difficoltà.

 

Giuseppe Belotti, Psicologo e Psicoterapeuta, Direttore Associazione Psicologia Psicoterapia Il Conventino

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